venerdì 21 novembre 2008

L'Ultimo dei "Rivoluzionari Sociali"


Non mi piace etichettare qualcuno come fascista o comunista, perchè sono categorie che appartengono ad un passato che è così lontano a cui solo degli emeriti cretini possono riferirsi o (peggio) autoriferirsi. Per cui mi piace l'espressione "Rivoluzionario sociale" e l'ultimo di questa specie è: l'on. Antonio Di Pietro.


Questi ha tutte le caratteristiche dei rivoluzionari classici:



  • Un populismo condotto all'estremo e colorito di una vulgata contadina che lo fa apparire come l'uomo vero (con atteggiamenti che ricordano altri "amici del popolo") che combatte contro i sofisticati manichini che usano le abilità retoricolinguistiche come maschera del loro presunto nulla



  • Un'idea di giustizia suprema, secondo cui anche il sospetto è assunto a prova implicita del malaffare, perchè il malaffare per il nostro è dappertutto, c'è sempre il nemico che complotta contro il portatore della VERITA' ASSOLUTA, per cui non occorrono prove, perchè la Giustizia è una sorta di argomento ontologico (Di Pietro pensa che qualcosa sia vero, per cui deve essere vero) che non occorre essere dimostrato con prove tangibili, perchè già esistente di per se stesso (e poi si fanno delle interrogazioni parlamentari come questa, ma lasciamo perdere)



  • La visione della piazza come maglio, la piazza su cui attaccare il nemico.



  • Le parabole per far capire che è diverso dalla cricca che regge con le mani lorde del presunto sangue della "povera ggggente" e che odia (perchè odiare il malvagio diviene un valore) chi sta "rovinando l'Italia"



  • Il conio di nuove espressioni (come "Corruttore politico") dal significato incerto (io che azione faccio corrompendo politicamente? Se corrompo qualcuno devo per forza fornirgli qualcosa di illecito, cosa c'è di illecito in una carica elettiva?) o l'uso di espressioni gergali regionali (Che c'azzecca) a tormentone, perchè funzionano nella comunicazione



  • Circondarsi di veri e propri pretoriani dalle più disparate provenienze, anche se non si rimane mai fedele ad una linea, per cui tutto diviene funzionale al proprio scopo



  • Porsi a difesa della democrazia, ma sempre con metodi autoritari, in quanto si vuole assurgere a simbolo ultimo della democrazia: "Se non si fa come dico io, questa non è democrazia". Sempre il malvagio, che attenta alla democrazia, cercherà di boicottare



  • Ripetere all'infinito i propri concetti come un mantra, cosicchè diventino di sentire comune (ottima tecnica usata anche durante la Madre di Tutti i Processi), senza alcuna possibilità di contraddittorio

Personalmente fa paura, perchè ci vedo qualcosa che credevo scomparso nei meandri della storia e vedo il povero Uolter incatenato a questa figura che è tutto meno che "di sinistra". Vedo anche tutti gli orfani del massimalismo forte e di impatto che osannano dopo qualche decennio dalla scomparsa dell'ultima stella polare... Gianeustachi del Mondo unitevi, è tornato il Salvatore...



P.S. Vorrei proprio vederlo Gianniletta incazzato...

Immagine tratta da panorama.it

1 commento:

blumfeld ha detto...

Io invece non mi faccio problemi a definire un "fascista" come tale. Ma non è una questione di appartenenza e/o derivazione politica. Non è questione di avere avuto in casa un busto del duce o essere andato alle adunate del MSI a 20 anni. Anche perché al di là dell'esordio nel ventennio italiano, i fascismi sono stati tanti e diversi: ma pur sempre con delle caratteristiche comuni. E' una questione di caratteristiche e comportamenti: di cosa si fa, di cosa si dice e di come ci si comporta. Se uno sembra un fascista, parla come un fascista e si comporta come un fascista, beh, per me è un fascista. E' una questione di forme e strutture che modellano i contenuti espressi, e non viceversa.
E Di Pietro, in quanto a queste forme e strutture... hai già scritto tu.